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Come vedi siamo in tempi di barbarie

Autorizzati da il Ventaglio novanta si riporta l'articolo La “barbarie” di Matteotti di Vittorio Tomasin tratto da Ventaglio n. 35 - Luglio 2007

Una decina di anni fa, girovagando per i mercatini dell’antiquariato alla ricerca di libri e documenti storici, ho conosciuto al Feniletto di Cà degli Oppi di Oppeano (VR) Lionello Matteucci. Lionello, torinese trapiantato a Verona, vendeva oggettistica varia ed eleganti vetri di Murano. La mia attenzione fu però attratta da alcune fotocopie appese al muro del locale dove Lionello esponeva la sua merce.
La calligrafia con cui erano vergati i documenti mi appariva familiare: era quella di Giacomo Matteotti. Di che cosa si trattava? Lionello mi raccontò, con dovizia di particolari, la storia di quelle carte, frutto di un’amicizia nata all’inizio del secolo scorso tra suo nonno e il giovane Matteotti. Il nonno Pasquale Matteucci, nato a Faenza il 22 agosto 1881, aveva completato il biennio di studi matematici presso le università di Torino e Bologna, iscrivendosi poi nel 1903 al terzo anno alla Normale di Pisa. Costretto ad interrompere gli studi per gravi problemi di salute, nel 1904 vince un concorso alle Poste e Telegrafi e viene assegnato a Milano.
Nel capoluogo lombardo, iniziato da un insegnante alle idee socialiste fin dal 1898, l’annus horribilis degli eccidi perpetrati da Bava Beccaris, aderisce prima ad un gruppo socialista studentesco e poi al Partito Socialista, nelle cui fila svolge attività politica e sindacale. Poi, dal 1911 al 1914 ricopre l’incarico di Capo Ufficio Sezioni Riunite alle Poste di Rovigo, dove si trasferisce, seguito due anni più tardi dalla moglie Angela Filomena Mamoli, detta Ena, sposata nel 1913.
A Rovigo Matteucci è attivo nella Federazione Provinciale Socialista e collabora con il periodico La Lotta. All’interno del partito stabilisce uno stretto rapporto politico e di amicizia, personale e familiare, con Giacomo Matteotti.
Peregrinando per l’Italia, in ragione del lavoro alle Poste, nel 1914, Matteucci lascia Rovigo per Venezia, trasferendosi poco dopo a Roma, ma l’amicizia con Matteotti non si interrompe neppure dopo che i due, all’inizio degli anni ‘20, imboccano strade diverse: Matteotti con i riformisti, Matteucci con i comunisti.
I documenti che avevano suscitato il mio interesse, erano le copie della corrispondenza indirizzata da Giacomo Matteotti a Pasquale Matteucci. Questi aveva gelosamente custodito per decenni le lettere inviategli dall’amico polesano, sottraendole alle frequenti perquisizioni subite ad opera della polizia di Milano durante il ventennio e alla fine della sua vita le aveva donate al nipote Lionello.
Si trattava di 9 cartoline (8 illustrate e 1 postale) di Giacomo Matteotti. Inoltre 1 cartolina postale di Anna Kuliscioff, 1 cartolina illustrata della madre di Matteotti, 2 cartoline illustrate di Velia Matteotti, 1 lettera di Isabella Matteotti, figlia di Giacomo.
Materiale prezioso dunque, che poteva destare l’interesse dei collezionisti di autografi, e che, in mancanza di tutela, rischiava pertanto la dispersione. Mi sembrava importante conservare l’unitarietà di quel materiale. Proposi pertanto a Lionello, intenzionato a vendere i documenti, di offrire la corrispondenza all’Archivio di Stato di Rovigo o, in subordine, al Comune di Fratta Polesine: cosa che Lionello fece nel dicembre 1996 con una lettera indirizzata ai due enti, nonché alla Sovrintendenza Archivistica di Venezia. Non se ne fece nulla: l’Archivio di Stato e la Sovrintendenza si palleggiarono vicendevolmente la competenza, il Comune di Fratta più semplicemente non rispose neppure all’offerta.
Di tanto in tanto continuavo ad incontrare Lionello che, sensibile al ragionamento che gli avevo esposto e fiducioso in un ripensamento dei tre enti pubblici a cui si era rivolto, non aveva più offerto in vendita la corrispondenza, conservandola a casa. Passarono così 5 anni finché, incontratolo casualmente nell’estate del 2001 a Cerea, gli chiesi notizia della corrispondenza, proponendogli di cederla a me. Ci accordammo facilmente, con reciproca soddisfazione. Due anni più tardi, grazie alla sensibilità di Francesco Selmin, direttore di Terra d’Este, ho pubblicato tutta la corrispondenza sulla rivista storica padovana (cfr. Terra d’Este, n. 25, gennaio-giugno 2003, pp.123 - 140).
Perché ritornare dunque su questa vicenda dalle pagine di Ventaglio novanta? Perché almeno una delle cartoline indirizzate da Matteotti a Pasquale Matteucci è di estremo interesse per i tanti polesani che non hanno avuto l’occasione di leggere Terra d’Este.
Il 1915 si era aperto per Giacomo Matteotti, consigliere provinciale dal 1910, all’insegna dell’impegno politico, fattosi più gravoso per il dibattito inerente l’entrata in guerra dell’Italia, fortemente avversata dal leader socialista polesano; posizione espressa con veemenza nella seduta del Consiglio Provinciale del 19 marzo 1915. Ma nei mesi successivi era stato colpito dalla tisi, malattia che, fra l’altro, negli anni precedenti aveva condotto alla morte i fratelli Matteo e Silvio. Nel corso dell’estate del 1915 Matteotti non si era pertanto mosso da Fratta Polesine perché costretto a letto dalla malattia.
Il 15 ottobre 1915 Giacomo comunica a Velia, la fidanzata che sposerà l’anno successivo, la sua intenzione di soggiornare a Stresa, sul lago Maggiore, “anche se è novembre: tanto per stare tranquillo”. Successivamente, a metà novembre, informa Velia della sua decisione di fare ritorno a Fratta mercoledì 17, per recarsi poi a Roma.
Giacomo Matteotti con fluente barba nera - convalescente a Stresa nel novembre 1915
Giacomo Matteotti con fluente barba nera - convalescente a Stresa nel novembre 1915
Il 18 novembre Pasquale Matteucci riceve da Stresa un’insolita cartolina postale. Matteotti vi appare ritratto con una fluente barba nera e sul retro, ironizzando sulla sua inusuale immagine, scrive:
“Come vedi siamo in tempi di barbarie; ma fra poco cesserà e precisamente prima che io arrivi a Roma, locchè sarà nella prossima settimana, salvo complicazioni. Grazie della Gazzetta: ne avrai già visti i frutti sull’A. [Avanti!, n.d.a.]. Posdomani sarò a Fratta per alcuni giorni. A Roma resterò una settimana, forse all’H. [Hotel, n.d.a.] Bertolini. Arrivederci dunque a presto tuo Giacomo. Stresa 16. XI. 15”
Questa foto, rimasta nell’ombra dal 1915 al 2001, ha visto finalmente la luce nel 2004 su Terra d’Este e ora viene riproposta ai polesani su Ventaglio novanta.

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