Camera: Commemorazione di Giacomo Matteotti nell’ottantesimo anniversario della morte. Pier Ferdinando Casini
Giovedì 10 giugno 2004, alle ore 11,00, presso la Sala della Lupa, si è tenuta la cerimonia di commemorazione di Giacomo Matteotti, barbaramente ucciso da sicari fascisti il 10 giugno del 1924.
Il Presidente della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini, ha tenuto il seguente discorso introduttivo.
Ringrazio il professor Giuliano Vassalli, Presidente emerito della Corte Costituzionale, per avere accolto l’invito a ricordare con la sua autorevolezza la figura e l’opera di Giacomo Matteotti.
Saluto il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Gianfranco Fini, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, le altre autorità presenti e tutti gli intervenuti. Un saluto ed un ringraziamento particolare voglio rivolgere al figlio di Giacomo Matteotti, Giancarlo, membro dell’Assemblea Costituente e deputato al Parlamento nelle prime tre legislature repubblicane, ed alla nipote Laura: la loro presenza costituisce per tutti noi motivo di grande onore.
Sono lieto di ringraziare anche la Fondazione Nenni, nella persona del suo presidente, Giuseppe Tamburrano, per la sua attenta opera di custodia della memoria di Giacomo Matteotti, così come tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono a perpetuare la straordinaria testimonianza di passione civile e di coraggio che egli ha offerto al nostro Paese: voglio ricordare che stamane il suo sacrificio è stato commemorato, come negli anni scorsi, nel luogo in cui esso si consumò, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, a Roma, non lontano da questo Palazzo.
In concomitanza con questa ricorrenza così significativa, anche la Camera dei deputati è impegnata nel fare la sua parte: un progetto di legge, che la Commissione Cultura sta esaminando in sede legislativa e che auspico possa essere a breve approvato, consentirà di arricchire con nuove iniziative l’impegno delle Istituzioni e della cultura del nostro Paese nel promuovere e valorizzare l’eredità di Matteotti.
Per una coincidenza della storia, ci troviamo oggi riuniti a commemorare la figura di Matteotti proprio in questa Sala dove, a seguito della sua tragica scomparsa, si realizzò la secessione aventiniana, la cui nobile ispirazione è ricordata nell’epigrafe qui esposta. In questo luogo, i deputati fedeli ai valori del Parlamento vollero segnare con forza la loro ferma condanna del disegno di repressione delle libertà e della legalità democratica da parte del nascente regime fascista.
Il nome di Giacomo Matteotti sono indissolubilmente legati alla più alta e nobile difesa delle Istituzioni rappresentative che l’Aula di Montecitorio abbia vissuto nella sua storia. Le vibranti parole di denuncia dell’illegalità elettorale fascista e di rivendicazione della libera espressione della sovranità popolare, da lui pronunciate il 30 maggio 1924, restano ancora integre nella loro forza originaria e ci restituiscono l’immagine a tutto tondo di un uomo politico in cui pensiero ed azione si fusero alla perfezione.
Quel giovane deputato del Polesine, non ancora quarantenne, trovò allora più di chiunque altro il coraggio di dare voce all’indignazione politica e morale suscitata dall’incipiente regime, intento nel portare a compimento il suo programma dittatoriale ed antiparlamentarista, calpestando impunemente le libertà e le garanzie costituzionali.
Nonostante le interruzioni, i rumori e le intimidazioni, non risparmiategli sinanco nell’Aula parlamentare, Matteotti poté elevare con dignitosa fermezza la sua protesta, perché era forte in lui la consapevolezza di interpretare i sentimenti più autentici del popolo italiano. Più di ogni altra cosa, egli deplorò che si volesse dimostrare - secondo le sue stesse parole - che “solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro”.
Fu questo il grido di dolore che Matteotti lanciò nella chiusa del suo celebre discorso, di fronte alla brutale involuzione che la svolta mussoliniana aveva impresso alla storia d’Italia, arrestandone il cammino verso la democrazia compiuta. In quel grido di dolore oggi possiamo leggere, non senza emozione, anche un appello alle future generazioni a riprendere quel cammino lì da dove esso si era bruscamente interrotto, un’esortazione a riscattare definitivamente il popolo italiano dalla sua condizione di arretratezza e di subalternità.
Matteotti aveva maturato questa accorata sensibilità formandosi politicamente nel vivo della base socialista, a diretto contatto con le masse contadine della pianura padana tra Rovigo e Ferrara, dove aveva imparato come le lotte agrarie fossero fatte di carne e sangue e non certo di artifici ideologici. Ma non meno determinanti nella sua formazione furono i suoi viaggi in Francia, Germania, Belgio ed Inghilterra, che gli permisero di entrare in contatto con le più avanzate forme di organizzazione del movimento operaio e di interpretare la coscienza socialista in chiave europea.
Frutto concreto di tali esperienze fu il suo generoso e sagace impegno nelle amministrazioni locali. Più volte sindaco e consigliere comunale in tanti piccoli comuni della sua terra, Matteotti seppe cogliere ad esempio la forza che, in termini politici, avrebbe potuto dispiegare un’azione comune e coordinata di tutti gli enti del territorio.
Furono tutte esperienze che contribuirono a forgiarne la figura di riformista coerente, profondamente convinto che il riscatto dei lavoratori avrebbe dovuto provenire essenzialmente dal loro stesso impegno, soprattutto sul piano dell’educazione e della formazione culturale.
Il suo riformismo non fu certo un riformismo attendista: sappiamo che egli non nutrì mai l’illusione di cambiare le sorti delle masse operaie e contadine per decreto, senza cioè la loro partecipazione. Ma la sua fede incrollabile nel progresso dell’umanità e nella funzione del lavoro per l’emancipazione dell’individuo lo rese assolutamente impermeabile alle suggestioni bolsceviche che percorsero la sinistra italiana all’indomani della rivoluzione russa.
La stessa sincera fede gli permise del resto di cogliere sin da subito la pericolosità del movimento fascista, che gli apparve come lo sbocco tragico della partecipazione italiana alla prima guerra mondiale.
La sua radicata popolarità, il suo consolidato prestigio parlamentare, la sua nascente notorietà internazionale, ma soprattutto la sua tenacia e la sua fiducia nell’azione sembrarono farne il leader più credibile e convincente dell’antifascismo.
E la ragione del suo assassinio sta probabilmente in questa realtà, che certo non era sfuggita a Mussolini, come non gli sfuggivano le accuse formulate da Matteotti circa le compromissioni affaristiche del Governo e della Corona nelle concessioni petrolifere ed i suoi richiami alla rigorosa rendicontazione dei bilanci pubblici.
Dopo i tentativi del regime di scaricare la responsabilità della sua tragica fine su una squadra troppo zelante, con il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 l’assassinio di Matteotti si rivelò pienamente nel suo significato di monito ultimativo alle opposizioni parlamentari ed ai fiancheggiatori moderati del regime: fu il chiarimento definitivo che alla dialettica parlamentare era stato sottratto ogni spazio di azione.
Per il coraggio di essersi opposto senza condizioni e con chiarezza a tutto questo, Giacomo Matteotti divenne il primo ed ultimo martire del Parlamento. Il suo esempio e la sua appassionata rivendicazione del primato della rappresentanza parlamentare restano per questo una componente essenziale della nostra Repubblica.
Come a chiudere un ciclo, il suo nome sarebbe nuovamente risuonato nell’Aula di Montecitorio in occasione dell’inaugurazione dei lavori dell’Assemblea Costituente, il 26 giugno 1946, nelle parole di insediamento del suo primo Presidente, Giuseppe Saragat, che renderà omaggio al suo sacrificio per la “difesa dei diritti delle libere assemblee”.
Oggi, nella ricorrenza che rinnova nei nostri cuori la grande emozione suscitata dalla sua scomparsa, abbiamo il dovere di celebrare un grande protagonista della storia italiana.
La vicenda di Giacomo Matteotti è stata infatti una vicenda esemplare. Come pochi altri uomini, egli è riuscito a tradurre i valori della democrazia parlamentare e della giustizia sociale in un’esperienza di vita, in cui seppe offrire tutto se stesso al popolo italiano ed alla sua aspirazione a diventare un popolo europeo.
Il fatto che siano oggi qui convenute tante autorevoli personalità, espressione di storie e di culture politiche diverse, anche distanti tra loro, rende onore a Giacomo Matteotti e testimonia la presenza, nel codice genetico del nostro Paese, dei valori unificanti della libertà e della democrazia per i quali egli fu disposto ad impegnarsi sino all’estremo sacrificio: e questo fece con una sincerità ed una passione civile che non potremo mai dimenticare.
Il Presidente della Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini, ha tenuto il seguente discorso introduttivo.
Ringrazio il professor Giuliano Vassalli, Presidente emerito della Corte Costituzionale, per avere accolto l’invito a ricordare con la sua autorevolezza la figura e l’opera di Giacomo Matteotti.
Saluto il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Gianfranco Fini, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, le altre autorità presenti e tutti gli intervenuti. Un saluto ed un ringraziamento particolare voglio rivolgere al figlio di Giacomo Matteotti, Giancarlo, membro dell’Assemblea Costituente e deputato al Parlamento nelle prime tre legislature repubblicane, ed alla nipote Laura: la loro presenza costituisce per tutti noi motivo di grande onore.
Sono lieto di ringraziare anche la Fondazione Nenni, nella persona del suo presidente, Giuseppe Tamburrano, per la sua attenta opera di custodia della memoria di Giacomo Matteotti, così come tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono a perpetuare la straordinaria testimonianza di passione civile e di coraggio che egli ha offerto al nostro Paese: voglio ricordare che stamane il suo sacrificio è stato commemorato, come negli anni scorsi, nel luogo in cui esso si consumò, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, a Roma, non lontano da questo Palazzo.
In concomitanza con questa ricorrenza così significativa, anche la Camera dei deputati è impegnata nel fare la sua parte: un progetto di legge, che la Commissione Cultura sta esaminando in sede legislativa e che auspico possa essere a breve approvato, consentirà di arricchire con nuove iniziative l’impegno delle Istituzioni e della cultura del nostro Paese nel promuovere e valorizzare l’eredità di Matteotti.
Per una coincidenza della storia, ci troviamo oggi riuniti a commemorare la figura di Matteotti proprio in questa Sala dove, a seguito della sua tragica scomparsa, si realizzò la secessione aventiniana, la cui nobile ispirazione è ricordata nell’epigrafe qui esposta. In questo luogo, i deputati fedeli ai valori del Parlamento vollero segnare con forza la loro ferma condanna del disegno di repressione delle libertà e della legalità democratica da parte del nascente regime fascista.
Il nome di Giacomo Matteotti sono indissolubilmente legati alla più alta e nobile difesa delle Istituzioni rappresentative che l’Aula di Montecitorio abbia vissuto nella sua storia. Le vibranti parole di denuncia dell’illegalità elettorale fascista e di rivendicazione della libera espressione della sovranità popolare, da lui pronunciate il 30 maggio 1924, restano ancora integre nella loro forza originaria e ci restituiscono l’immagine a tutto tondo di un uomo politico in cui pensiero ed azione si fusero alla perfezione.
Quel giovane deputato del Polesine, non ancora quarantenne, trovò allora più di chiunque altro il coraggio di dare voce all’indignazione politica e morale suscitata dall’incipiente regime, intento nel portare a compimento il suo programma dittatoriale ed antiparlamentarista, calpestando impunemente le libertà e le garanzie costituzionali.
Nonostante le interruzioni, i rumori e le intimidazioni, non risparmiategli sinanco nell’Aula parlamentare, Matteotti poté elevare con dignitosa fermezza la sua protesta, perché era forte in lui la consapevolezza di interpretare i sentimenti più autentici del popolo italiano. Più di ogni altra cosa, egli deplorò che si volesse dimostrare - secondo le sue stesse parole - che “solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro”.
Fu questo il grido di dolore che Matteotti lanciò nella chiusa del suo celebre discorso, di fronte alla brutale involuzione che la svolta mussoliniana aveva impresso alla storia d’Italia, arrestandone il cammino verso la democrazia compiuta. In quel grido di dolore oggi possiamo leggere, non senza emozione, anche un appello alle future generazioni a riprendere quel cammino lì da dove esso si era bruscamente interrotto, un’esortazione a riscattare definitivamente il popolo italiano dalla sua condizione di arretratezza e di subalternità.
Matteotti aveva maturato questa accorata sensibilità formandosi politicamente nel vivo della base socialista, a diretto contatto con le masse contadine della pianura padana tra Rovigo e Ferrara, dove aveva imparato come le lotte agrarie fossero fatte di carne e sangue e non certo di artifici ideologici. Ma non meno determinanti nella sua formazione furono i suoi viaggi in Francia, Germania, Belgio ed Inghilterra, che gli permisero di entrare in contatto con le più avanzate forme di organizzazione del movimento operaio e di interpretare la coscienza socialista in chiave europea.
Frutto concreto di tali esperienze fu il suo generoso e sagace impegno nelle amministrazioni locali. Più volte sindaco e consigliere comunale in tanti piccoli comuni della sua terra, Matteotti seppe cogliere ad esempio la forza che, in termini politici, avrebbe potuto dispiegare un’azione comune e coordinata di tutti gli enti del territorio.
Furono tutte esperienze che contribuirono a forgiarne la figura di riformista coerente, profondamente convinto che il riscatto dei lavoratori avrebbe dovuto provenire essenzialmente dal loro stesso impegno, soprattutto sul piano dell’educazione e della formazione culturale.
Il suo riformismo non fu certo un riformismo attendista: sappiamo che egli non nutrì mai l’illusione di cambiare le sorti delle masse operaie e contadine per decreto, senza cioè la loro partecipazione. Ma la sua fede incrollabile nel progresso dell’umanità e nella funzione del lavoro per l’emancipazione dell’individuo lo rese assolutamente impermeabile alle suggestioni bolsceviche che percorsero la sinistra italiana all’indomani della rivoluzione russa.
La stessa sincera fede gli permise del resto di cogliere sin da subito la pericolosità del movimento fascista, che gli apparve come lo sbocco tragico della partecipazione italiana alla prima guerra mondiale.
La sua radicata popolarità, il suo consolidato prestigio parlamentare, la sua nascente notorietà internazionale, ma soprattutto la sua tenacia e la sua fiducia nell’azione sembrarono farne il leader più credibile e convincente dell’antifascismo.
E la ragione del suo assassinio sta probabilmente in questa realtà, che certo non era sfuggita a Mussolini, come non gli sfuggivano le accuse formulate da Matteotti circa le compromissioni affaristiche del Governo e della Corona nelle concessioni petrolifere ed i suoi richiami alla rigorosa rendicontazione dei bilanci pubblici.
Dopo i tentativi del regime di scaricare la responsabilità della sua tragica fine su una squadra troppo zelante, con il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 l’assassinio di Matteotti si rivelò pienamente nel suo significato di monito ultimativo alle opposizioni parlamentari ed ai fiancheggiatori moderati del regime: fu il chiarimento definitivo che alla dialettica parlamentare era stato sottratto ogni spazio di azione.
Per il coraggio di essersi opposto senza condizioni e con chiarezza a tutto questo, Giacomo Matteotti divenne il primo ed ultimo martire del Parlamento. Il suo esempio e la sua appassionata rivendicazione del primato della rappresentanza parlamentare restano per questo una componente essenziale della nostra Repubblica.
Come a chiudere un ciclo, il suo nome sarebbe nuovamente risuonato nell’Aula di Montecitorio in occasione dell’inaugurazione dei lavori dell’Assemblea Costituente, il 26 giugno 1946, nelle parole di insediamento del suo primo Presidente, Giuseppe Saragat, che renderà omaggio al suo sacrificio per la “difesa dei diritti delle libere assemblee”.
Oggi, nella ricorrenza che rinnova nei nostri cuori la grande emozione suscitata dalla sua scomparsa, abbiamo il dovere di celebrare un grande protagonista della storia italiana.
La vicenda di Giacomo Matteotti è stata infatti una vicenda esemplare. Come pochi altri uomini, egli è riuscito a tradurre i valori della democrazia parlamentare e della giustizia sociale in un’esperienza di vita, in cui seppe offrire tutto se stesso al popolo italiano ed alla sua aspirazione a diventare un popolo europeo.
Il fatto che siano oggi qui convenute tante autorevoli personalità, espressione di storie e di culture politiche diverse, anche distanti tra loro, rende onore a Giacomo Matteotti e testimonia la presenza, nel codice genetico del nostro Paese, dei valori unificanti della libertà e della democrazia per i quali egli fu disposto ad impegnarsi sino all’estremo sacrificio: e questo fece con una sincerità ed una passione civile che non potremo mai dimenticare.
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