[Pubblicato sulla rivista “Critica Sociale” del 16-30
giugno 1924*]
di Claudio Treves (Torino, 24 marzo 1869 - Parigi, 11 giugno 1933. E' stato un politico, giornalista ed antifascista italiano)
di Claudio Treves (Torino, 24 marzo 1869 - Parigi, 11 giugno 1933. E' stato un politico, giornalista ed antifascista italiano)
Questo partito nostro, uscito dalle bufere del dopo guerra, dagli inconsulti ostracismi del socialismo ufficiale, accampatosi in prima linea contro il fascismo, in nome della tradizione democratica del socialismo, non chiaramente individuato dalle masse profonde, rinchiuso appena nato nel reclusorio generale della nazione, onde gli fu preclusa ogni propaganda orale nei comizi ed ogni sistemazione organica, questo partito nostro, subito denunciato dal trionfante fascismo come il primo dei suoi nemici, per dire al mondo la parola che vince ogni altra, che consacra o riconsacra alla storia un movimento, una fede, un avvenire, doveva riconfondersi tutto nella luce del martirio, che è e sarà, esternamente, la suprema confessione, della fede.
E tu, Matteotti, per tutti noi, per il popolo tutto, sei
andato incontro al Martirio, il più orribile, che ti chiamava con le sorde voci
adescatrici. Tu avevi dato alla causa tutta la tua fiorente giovinezza, ti eri
levato tra i tuoi contadini oppressi come un fratello di anima, avevi da prode
combattuto per essi, avevi abbandonato i tuoi studi prediletti, avevi subìto
l’insulto, il bando, lo scherno.
Sotto la raffica il tuo spirito impetuoso, allegro
dell’allegria degli eroi, anziché piegarsi, non scelse che in un campo più
vasto di azione il posto più battuto dalle artiglierie nemiche. Hai voluto
essere il segretario del nostro Partito perché nessun altro lo poteva essere
più animosamente, e per due anni, meraviglioso di audacia, di fierezza, di
energia, sfidando ogni giorno, e ogni giorno eludendo gli agguati e sentendo
venire l’agguato a cui non saresti sfuggito, hai marciato, invitto, al tuo
destino, perché il “tuo” partito salisse, col tuo martirio, alla gloria che lo
fa santo, della tua santità.
Chi mai ha operato di più, chi mai opererà tanto per il
riscatto umano?
Ed ecco il mondo, vile e scettico, che assisté
indifferente al trionfo della violenza crudele e codarda, impunemente
esercitata sulle misere moltitudini, il mondo che volse le spalle, guardando in
alto, quando la stessa violenza colpiva, con misura sapiente, altri non confusi
nella folla, ecco il mondo, improvvisamente, sobbalzare, tocco dalla grazia del
tuo martirio, levare alta la parola dell’accusa, chiedere giustizia, e perché
non è giustizia fuori della libertà, gridare con accento e passione nuova, nati
da una intima redenzione dello spirito - libertà, libertà!
Il martire e santo prova la santità e il martirio col
miracolo.
Ecco il miracolo in atto.
Ne hai tu, Matteotti, là dove sei - extra, - cosmo,
natura, seno di Dio, - la sensazione, la visione? Ti consola il fatto, o
taumaturgo nostro? Ti distilla qualche grazia di balsamo per la madre, per la
consorte, per i tre bimbi da cui ti sei separato?
Ciò gli assassini, i martirizza tori crudeli nel loro
infame “realismo politico” non prevedevano. Fango, credevano che tutto fosse
fango; che nessuna percossa su questo fango anche intriso di sangue, ne
sprizzasse una scintilla di rivolta ideale. Il loro basso credere oggi volgono
audacemente ad allontanare le responsabilità che li attanagliano. Il crimine
non profitta ai criminali; il martirio profitta per le vittime, per gli
oppressi. E’ vero. Sempre fu così nell’ordine eterno della vita. Ma i cupidi,
gli ambiziosi, gli uomini della preda sensuale e del potere non lo veggono mai
nell’ora che le loro passioni decidono i loro atti.
Egli, era il più forte, il più prode, il più multiforme
nella santa attività contro il regime oppressore; sopprimerlo era sopprimere
gran parte di quel partito, che era indiziato come il più pericoloso per il
regime. E l’hanno soppresso. Potevano essi pensare che ogni stilla di quel
sangue rovesciato sugli uomini ciechi avrebbe miracolosamente dissigillati i
loro occhi e portato così grande luce alle loro anime?
Immaginavano essi che a quella luce si sarebbe rivelata
la catena che univa il misfatto ultimo agli innumerevoli che formano la trama
del cilicio quotidiano del popolo italiano? Che l’orrore si sarebbe tramutato
in tutto il mondo in un’onda mugghiante di esecrazione per i carnefici, di
pietà e di amore per la vittima, di solidarietà, animosa per gli umiliati e gli
offesi che egli voleva liberare?
Il martirio ha posto davanti alla coscienza umana il
problema del regime. E non potrà risolversi che contro il regime.
Ineluttabilmente. Per quali vie, per quali mezzi? Ciò è
ancora nei veli del mistero. Il sacrifizio di Matteotti non basterà a placare
il fato? E sia.
L’esempio predica con una invitta forza di suggestione.
Ma il regime è condannato. Troppo assurdo, troppo mostruoso, troppo
anacronistico nella civiltà moderna animata dalla forza democratica del Lavoro,
che dal Lavoro vive e si esalta, è un regime di basso Impero, che sembra avere
assunto per divisa il motto del romanzo di Barrés: “e l’or, du sang, de la
volupté”. Questo è il Rinascimento di Alessandro VI e di Cesare Borgia.
Machiavelli non l’ha mai confortato con il consenso del
suo genio. Era il segretario fiorentino troppo repubblicano ed era stato troppo
amico del Savonarola ed aveva giudicato troppo “modernamente” le lotte civili
di Roma antica come cagione della grandezza romana, perché la sua dottrina
possa servire alla causa dei nuovi glossatori del suo verbo, che pretendono si
incarni in questo ordine di conquista, di piacere e di crimine. I contemporanei
negano le “ragioni di Stato” oltre i termini della legge, che è essa stessa lo
Stato da salvare; negano all’ombra del potere palese l’organizzazione del
potere occulto, eslege, contra legem, che pronunzia della vita e della morte
degli uomini, dei cittadini, dei capi o dei gregari dei partiti, senza processo
e senza appello.
La prima norma dei Parlamenti è stata l’immunità dei
rappresentanti ad ulteriore, inequivocabile significato che la “ragion di Stato”
che gli uomini del potere tramino la soppressione dei loro avversari.
Il misfatto ferisce il senso fondamentale della società
democratica e parlamentare del tempo nostro. Il misfatto non è contro l’uomo, l’individuo,
è contro il diritto delle genti. I Parlamenti se ne commuovono, i partiti all’estero
tumultuano come sotto una propria offesa mortale.
E lo è. La dittatura si isola fra il terrore e l’indignazione
delle genti e avvilisce la patria immacolata.
Tra breve, tutto ciò che è veramente, sanamente amore e
culto della patria, condannerà il regime che la umilia, piegherà il ginocchio
pronunziando il tuo nome, o Matteotti nostro, Martire dell’ “antinazione”,
abiurerà per sempre la più iniqua ed ipocrita delle distinzioni su cui il
regime poggia le sue usurpazioni: i reprobi e gli eletti, - riconoscendo in
essa un immanente tradimento.
Tutti i figli della patria sono uguali ed ugualmente
degni finché ne osservano le leggi e ne propugnano, secondo loro coscienza
insindacabile, l’onore, la prosperità e la grandezza. La fazione che, oltre il
potere che detiene, si arroga, con il terrore di segrete associazioni, ordinate
per il delitto e la strage, di imporre a tutti il suo volere e tutti i diritti
altrui ridurre al proprio talento, è vera nemica della patria, perché la patria
non ha per nemici che i suoi oppressori, siano di sangue straniero o siano di
sangue nostro. Ma l’uomo che muore per la sua fede, che sigilla con il suo
sangue la missione, quegli è la più alta manifestazione che onori e faccia
onorare la Patria.
Coteste umili ed eterne verità che lo Stato-fazione ha
proscritte, che la scuola asservita ha rinnegate, che la stampa e la filosofia
ufficiale hanno bestemmiate, oggi, sotto la percossa brutale, tornano a fare
pensose le menti.
I giovani sono ripresi dal bisogno di un ideale che pari
uguale per tutti, che predichi l’universalità della legge, l’orrore del
crimine, la santità della vita, il disgusto della forza che ha per fine il soddisfacimento
degli istinti; sono ripresi dal bisogno di un ideale che non muoia e per cui si
muoia, come tu moristi, o Matteotti, in luce di martirio; un ideale che si
traduce in parole grandi, austere, di giovinezza perenne, amore, giustizia,
libertà.
Ah! Nessuna più tragica antitesi a cospetto della stirpe
immortale che la virtù del nostro nella lotta estrema contro la ferinità dei
carnefici, mandanti e mandatari del regime. E’ dello stesso sangue tanta
nobiltà e tanta infamia? Il fiume che da millenni trascina nei suoi gorghi la
memoria di tutte le cose più grandi e di tutte le cose più ree, assistette mai
ad un urto uguale di idee e di sentimenti, ad un cozzo più tremendo di civiltà,
che in quel ratto, in quella rissa di cinque sicari, eruttati dal tempo di
Borgia, e di un inerme cittadino della …città futura? Che cosa si sono detti?
La lingua comune non era comune. Le cronache hanno
consegnato ai venturi la confessione degli assassini che forse il Martire
avrebbe salvato se stesso se non gridava indomito la fede, l’ “idea che era in
lui” e che essi non potevano uccidere con lui. Allora i sicari, con l’aiuto dei
non più segreti complici ed istigatori, pensarono che si poteva cancellare il
segno di tanta grandezza, sottraendo e incenerendo un cadavere. Ma l’anima? Ma
lo spirito? … Folli! Quello vi insegue, vi denunzia, vi accusa - voi e chi vi
ha mandati - più presente, più assillante, più inesorabile, che da vivo…
E non per chiamare vendetta… La tragedia belluina dei
colpevoli svanisce dietro la tragedia umana dell’Innocente. Il regime si
affanni a scampare i suoi dalle ritorte della responsabilità che li
avvinghiano; si adoperi coi metodi dell’intimidazione a impedire che la verità
corra le strade e sollevi gli uomini: “Il nostro morto non è morto perché
alcuni aguzzini siano consegnati all’ergastolo, ma perché un popolo sia redento
in libertà”.
La vittoria di questo processo penale è men che nulla se
non è la vittoria di un processo politico. Per questo Giacomo Matteotti ha
salito tutte le stazioni del Calvario fino al Golgota; perciò ha benedetto di
martirio il nostro Partito. E neppure in un pensiero esclusivistico di scuola o
di metodo. Egli più di ogni altro aveva la consapevolezza che si va divulgando
fra le Opposizioni al regime, che l’eliminazione di questo è premessa, è debito
di onore di tutti i partiti della civiltà moderna. Anzi, i partiti non vivranno
con le loro ideologie che quando sarà rimosso ed abbattuto lo Stato-partito,
che tutti ugualmente opprime e riduce in schiavitù.
Perciò Egli era così per l’unità proletaria come per il
blocco delle Opposizioni, a cui dava un obiettivo che la sua morte ha tanto
avvicinato! Detronizzato il fascismo, ristabilito il normale avvicendamento dei
partiti, secondo il pubblico consenso, reintegrato il Parlamento come organo
della sovranità, il proletariato avrebbe ripreso l’azione socialista.
E se per tale obiettivo, pegni e guarentigie si debbono
dare, e se è da acconsentirsi il Governo di un fronte ordine amministrativo,
che recida la alternazione dei colpi e delle rappresaglie e restituisca con
oneste elezioni e con onesta legge elettorale i termini minimi necessari alla
ripresa della convivenza civile degli uomini nella patria comune. Egli vi era
pronto - come noi tutti lo siamo - in verace spirito di umiltà democratica e di
fraternità italiana…
Ciò non diminuiva per nulla, anzi esaltava il suo
entusiasmo per il partito; il suo orgoglio era che il partito fosse più alacre
alla battaglia comune; fosse in rapporto agli altri partiti vincolati alla
lotta contro il fascismo ciò che Egli stesso era per noi, nel nostro partito,
il primo, il più ardente, l’animatore, il propulsore, la ricca anima che nutre
di sé i più poveri di fede e di entusiasmo…
Ora, ecco, che “l’idea che era in lui” “che essi non
potevano uccidere” libera l’ale dal suo sangue e vola incontro ai miseri, agli
oppressi, a tutti quelli, soprattutto, che anche con le braccia in catene,
sanno mantenere il cuore libero, per chiamarli tutti al dantesco convivio della
fede e del dovere. Matteotti, il “segretario” del Partito Socialista Unitario è
più che mai nel suo ufficio di suscitatore di anime, di ordinatore degli sforzi
comuni, di eccitatore di sacrifizi. Egli è tra noi vivo! E ci resterà sempre.
Noi lo sentiremo ad ogni istante, ad ogni movimento. Egli
applaudirà, esulterà per ogni bel gesto di fierezza e di propaganda, per ogni
conquista che onorerà il Partito, ed oltre il Partito, il socialismo, la
libertà. Il martirio, continuerà l’opera di miracolo. Il sogno sarà presto cosa
viva.
La liberazione è vicina. Il regime “de l’or du sang de la
volupté” sprofonderà davanti alla immagine santa, raccolta nel cuore di tutti i
buoni, di tutti i liberi, di tutti i puri. La liberazione è vicina.
Per te, per te, Matteotti…
*Articolo contenuto anche nel libro “Giacomo Matteotti
1885-1924” (Edito da “Archivio per la Storia”, 1996), pp. 123, 124, 125, 126,
127, 128.
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