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La salma di Giacomo Matteotti nella pace del sepolcro - La Stampa, di Ercole Moggi

La Stampa, venerdì 22 agosto 1924, mattino
La salma di Giacomo Matteotti nella pace del sepolcro
Ventimila cittadini uniti in un indimenticabile e commovente omaggio di pietà - Le vie del paese cosparse di fiori - La bara tre volte sollevata in alto in cospetto del popolo - L'esortazione della Vedova alla calma ed alla pace
FRATTA POLESINE, 21, notte. I funerali di Giacomo Matteotti, nonostante tutte le circostanze avverse, sono stati una magnifica e veramente commovente manifestazione dell'anima popolare. Abbiamo avuto la sensazione profonda, viva, indimenticabile, di un dolore senza esempio, diffuso in tutte le classi sociali; abbiamo compreso che la memoria del Martire trucidato selvaggiamente, durerà imperitura nello spirito degli italiani. Il nome di Matteotti è oggi più che mai un vessillo di libertà. Fratta ha cominciato a brulicare di popolo dalle prime luci dell'alba. In questo paesino, che conta appena tremila anime, hanno affluito a migliaia le persone non solo da ogni plaga della Valle padana, ma anche da ogni parte d'Italia, per rendere omaggio alla povera vittima. Lo sa Rovigo, che non ha potuto alloggiare tutti i forestieri, così improvvisamente arrivati, e che stanotte ha dovuto perfino protrarre la chiusura dei caffè, mentre la stazione ferroviaria è rimasta eccezionalmente aperta per ricoverare le comitive di persone senza alloggio.
L'immensa folla
Grandi misure di pubblica sicurezza, a mezzo dell'arma dei reali carabinieri, erano state prese, perché non avvenissero incidenti. Questa mattina un grande servizio di ordine è stato organizzalo allo scopo di incanalare questa fiumana di popolo, che arrivavo in bicicletta, a piedi, in carri, in automobili, con ogni mezzo di trasporto. Dalla linea di Rovigo-Verona, i primi due treni del mattino hanno riversato i loro carichi di viaggiatori. Le strade sono state percorse specialmente da nugoli di biciclette. Da Ferrara ne sono giunte un migliaio. Precedeva questo grosso plotone di ciclisti una vettura automobile con una grande corona rossa: a bordo c'erano l'on. Cavallari ed altri socialisti fra i più noti del Ferrarese. Era questo il primo nucleo notevole di socialisti che, da tre anni a oggi, percorresse, inquadrato in corteo, le vie del Polesine. Ma aveva dovuto passare il Po alla spicciolata. A Ponte Lagoscuro nuclei di carabinieri procedettero ad una perquisizione personale su quanti passavano e sembravano sospetti. Tali perquisizioni non hanno dato però alcun risultato. Molti ferraresi giunsero pure in ferrovia con i treni del Veneto. L'on. Matteotti, come si sa, era stato nominato deputato nell'antica circoscrizione elettorale che comprende anche la Provincia di Ferrara, dove era molto conosciuto, perché l'aveva percorsa durante i periodi elettorali. Parte della folla era avviata dai carabinieri in divisa verso la casa del defunto, dove centinaia di persone sfilarono davanti al feretro dando luogo a scene di profonda emozione. C'era qualcosa di commovente nell'aspetto dei mille e mille spettatori, venuti di lontano a portare il loro omaggio di fiori e il loro tributo di passione alla salma del martire caduto per la libertà. Si aveva l'impressione di uno spirito nuovo, di un'atmosfera più serena, di un risveglio di anime forzatamente intorpidite. Rinascita di una coscienza morale, ritorno alle antiche idee di progresso. Questi umili, venuti tacitamente a curvare il capo davanti a un feretro, testimoniavano la bellezza di un sogno oscurato, ma non spento, di civile amore, di operoso lavoro. Le precauzioni poliziesche non hanno fatto che confermare alla dimostrazione della folla il suo carattere di indimenticabile e sincera spontaneità.
Fiori e singhiozzi
La vedova Matteotti, rigida accanto alla bara, ha assistito con forza sovrumana, per due ore, a questa dolente sfilata. Uomini, giovani, donne, bimbi, si gettavano sopra quel feretro, baciandolo e prorompendo in singulti. In certi momenti, da tutta la sala saliva come un pianto solo. A un punto la vedova fu colta da deliquio e dovette abbandonare la sala. In una stanza vicina, la vecchia madre, facendosi anche essa una gran forza, ricevette alcuni intimi di Giacomo, fra cui il deputato popolare di Rovigo ed ex-sottosegretario di Stato, on. Merlin, che la vecchia signora abbracciò e baciò affettuosamente, ricordando che l'onorevole Merlin era stato avversario leale ed onesto, e s'era tenuto col defunto, malgrado le aspre divergenze di politica, in cordiali rapporti. Una volta, si ricorda, l'on. Merlin in un comizio di socialisti fu aggredito e colpito, ma fu salvato dall'intervento energico dell'on. Matteotti. Un'altra volta il Matteotti ed il Merlin, durante la campagna elettorale, avevano tenuto un comizio in contraddittorio, durato cinque ore, e si erano lasciati cavallerescamente. E' per questo che l'on. Merlin, spogliandosi della sua qualità di deputato, ha voluto contravvenire alla decisione del gruppo delle opposizioni e partecipare egualmente ai funerali dell'avversario, che era stato con lui generoso e leale. Nella vecchia casa è un giungere continuo di fiori. Ho visto un centinaio di ricche e grandi corone. Moltissime donne e bimbi recano inoltre, arrivando dal loro paesi e dalle loro case, grandi mazzi di fiori, che poi sparpaglieranno al suolo, lungo il percorso del corteo. La sfilata della folla è interminabile. Tutte le categorie sociali sono rappresentate, tutti i cuori affratellati nel dolore e nell'omaggio. L'unanimità del sentimento è impressionante, e le lagrime salgono agli occhi dei più forti. La vista della signora Matteotti, impietrita per lo strazio, ritta accanto alla bara che racchiude i resti mortali atrocemente dilaniati del proprio marito e del padre del suol figli, ha qualcosa che rassomiglia ad un orrore sacro. Le manifestazioni di compianto della folla, i lamenti, i singhiozzi prendono tutti alla gola.
La madre bacia la bara
Alle 9,30 si danno le prime disposizioni per l'inizio dei funerali. Le corone che riempivano la camera mortuaria, quelle giunte da Roma con il feretro e quelle fresche di fiori olezzanti di questa rigogliosa terra padana, sono portate fuori. Squadre di giovani vengono incaricati di recarle a braccia dietro la salma fino al cimitero. Nella camera ardente non restano che pochi intimi. La vedova e la madre sono condotte per l'ultima volta al cospetto del feretro. Si rinnova una scena profondamente toccante. Le due donne si abbracciano e confondono i loro singhiozzi: poi si fanno un poco d'animo e baciano la bara. La vecchia grida nella sua parlata veneta: "Angiolo mio, adesso si che sei circondato da altri angioli! Adesso si che hai abbandonalo quell'inferno che i tuoi nemici ti avevano creato". Il suo strazio ci colpisce profondamente. Onesta madre che è sull'orlo della tomba, e che si congeda ora, dopo settimane di orrore, giorni di spavento e di angoscia, dalla salma martoriata del proprio figlio, rappresenta ora per noi centinaia di madri che gli avvenimenti di onesti ultimi anni hanno percosso e ferito negli affetti più cari. La madre di Giacomo Matteotti, curva per l'età e il dolore, singhiozzante al cospetto del cadavere del figlio assassinato, è oggi un simbolo e un ammonimento. Con le sue disperate parole di invocazione la povera signora allude alla vita d'inferno che le persecuzioni locali avevano creato al suo Giacomo costringendolo ad esulare dalla sua terra. Da tre anni era, infatti, al bando, e per vedere la sua vecchia mamma, doveva darla appuntamento a Padova o a Venezia. Aveva scelto stabilmente la capitale, per avere, diceva egli, la sua vita più sicura e più tranquilla! Ma Fratta, la vecchia casa paterna, la terra natale, era sempre in cima ai suoi pensieri; egli la ricordava e la prediligeva con quel desiderio nostalgico continuo assillante che è un po' nella gente veneta. E poiché alla moglie aveva detto più volte "Se un giorno venissi a mancare ricordati, Velia, di farmi seppellire nel nostro cimitero di Fratta Polesine". Il suo desiderio viene oggi appagato. L'esule ritorna non nella casa paterna, ma nel cimitero dei suoi padri, e vi sosta per sempre.
Il corteo
Alle 9,45 la bara lascia la casa e un quarto d'ora dopo il corteo comincia a muoversi, partendo precisamente dall'obelisco ai martiri del 1821 sulla piazza di Fratta. L'obelisco sorge proprio dinnanzi alla casa dei Matteotti, e ricorda i martiri che Fratta diede per la causa del Risorgimento. E' una modesta stele, con la seguente iscrizione: "Fratta - da Spielberg, Venezia, Lubiana - l'eco dolorosa dei suoi Martiri - del 1821 - raccogliendo in questo marmo - scrive sua storia - 31 gennaio deliberato - 16 giugno 1867 inaugurato". E attorno sono scolpiti questi nomi: "Antonio Villa - Antonio Oroboni - Prete Marco Fortini - Giacomo Poli - Antonio Poli - Federico Monti - Vincenzo Zorbin - Domenico Grindato". Il popolo d'Italia ha già scritto accanto a questi nomi dei tempi eroici della riscossa nazionale, quello di Giacomo Matteotti. Il corteo si snoda lentamente. Passa mezz'ora prima che la salma giunga all'obelisco, portata a braccia dai famigliari e preceduta dalla corona del paese, di Riano. Apre il corteo un plotone di carabinieri in tenuta nera con moschetto e un battaglione del 4° reggimento genio con musica e bandiera, venuto appositamente da Bologna, seguono un istituto religioso del paese di piccole orfanelle, guidate dalle suore, ed il clero della collegiata al completo. La salma è sempre trasportata a braccia dai famigliari. La vedova segue a piedi; è pallida, smorta, sorretta dalle cognate. La madre segue in automobile il feretro sino all'obelisco, poi è ricondotta a casa, scompare nell'ombra di un dolore immenso e sconsolato, di una sofferenza che non ha tregua. Nella folla scorgo un gruppo di parenti e di signore del paese, vestite strettamente a lutto, di deputati, fra cui gli on. Merlin, Romita, Amedeo, Conca, Priolo, Piccolo di Reggio Emilia. Questi deputati giunti stamane, non conoscevano la decisione del Comitato delle opposizioni e perciò partecipano ai funerali come privati. La salma è preceduta da due corone, quella della mamma e della moglie, portale ambedue a mano, e da due sole bandiere (così ha voluto la vedova) una del Comune di Fratta e una delle scuole elementari. Altre bandiere, fra cui alcune rosse, giunte nella mattinata, furono ritirate senza incidenti. Bandiere tricolori abbrunate1 sventolano dal Municipio e da alcune case private di Fratta. E poi, dietro la folla dei parenti, delle autorità, fra cui l'on. Miari, in rappresentanza ufficiale della Camera dei deputati, e del senatore Badaloni, in rappresentanza del Senato, e del colonnello Gentili, rappresentante della divisione militare di Bologna, un'interminabile fila di corone portate a braccia; in prima linea è quella della città di Roma, quello dei postelegrafici, dei socialisti, dei repubblicani di Rovigo, della Federazione arti grafiche, dei ferrovieri di Verona, dei socialisti unitari di Milano, della sezione della Fiom di Ferrara, dei giornali Avanti! e la Giustizia, dell'Associazione "Italia Libera", corona che reca un gran nastro bianco, rosso e verde, degli operai della seziono locomotive delle officine Breda di Milano, e ancora corone della Camera del lavoro di Milano e del partito popolare italiano, di magnifici fiori bianchi con grande nastro di raso bianco. Il corteo si avvia lentamente verso la chiesa parrocchiale. I negozi sono chiusi e, portano la scritta: "Lutto nazionale". I fiori sparsi al suolo con immensa profusione fanno si che il funerale passi come su un tappeto fiorito, sovente, dalla folla partono voci di "Viva Matteotti! Viva il martire della libertà!", ma tali voci sono subito represse dagli ordinatori del funerale e dagli stessi amici dell'estinto. Quando il corteo arriva alla parrocchia, una bella chiesa settecentesca, il funerale deve ancora sostare, perché la chiesa è gremita. Qui è raccolta la popolazione di Fratta, e prega. Il feretro è deposto su un catafalco foderato di crespo nero, con frange d'argento. Ai lati si inginocchiano i famigliari. La Messa, cominciata parecchio tempo prima delle esequie, continua contemporaneamente ad esse, perché l'Autorità ha desiderato che la funzione fosse breve il più possibile! La Messa è celebrata dall'ex-arciprete di Fratta, il canonico Perallo, che conobbe Giacomo fin dall'infanzia.
Al cimitero, tra il popolo
Allo 11,15 il feretro esce e il corteo ripiglia il suo lento cammino verso il cimitero. In vicinanza di questo la folla è fittissima. Molti sono aggrappati agli alberi. Sotto la pressione degli astanti, i cordoni sono rotti. La folla invade il Camposanto. A stento possono entrarvi tutti i portatori di corone. Un grande spazio del recinto, è occupato dall'omaggio floreale, che si riversa pure su altre tombe di ignoti. Sorgono nuove voci di "evviva" e di "abbasso". Gli amici dell'on. Matteotti sollevano in alto più in su che possono, a forza di braccia, la bara prima di deporla nella fossa; momento solenne; s'odono sommesse voci di rimpianto per la vittima e di esecrazione per gli uccisori. Tre volte la bara viene risollevata in alto e tre volte la vedova, con voce rotta dal pianto, pronunzia poche parole, esortanti tutti alla calma, alla pace. Le parole di questa dolente figura di sposa e di madre inteneriscono quanti la circondano. La folla la ascolta in religioso silenzio contenendo la sua fervente passione e la sua commozione indescrivibile. L'ondata d'esecrazione, di sdegno, di affettuoso rimpianto si placa al cospetto della signora Matteotti, statua di pietà e di dolore. La salma viene deposta nella cappella della famiglia Trevisan, provvisoriamente, in attesa che la famiglia Matteotti costruisca la tomba per il suo caro. Poi il cimitero viene dagli stessi ordinatori del funerale e dai carabinieri non senza fatica sgombrato. Nessuno, malgrado si approssimi mezzogiorno e dardeggi il sole, vorrebbe abbandonare quel mesto recinto. Si calcola che abbiano partecipato ai funerali ventimila persone. L'on. Merlin, e la sua testimonianza non può essere sospetta, dice davanti a quella imponenza semplice: - Matteotti ha voluto un gran bene a questi contadini ed ha fatto loro sempre del bene quando ha potuto. Se la gratitudine non è cosa vana al mondo, dovrà essere ricordato in fondo a molti cuori. La funzione è finita con la benedizione cristiana sul tumulo. Nessun discorso. Ultimi ad uscire sono i congiunti dell'estinto. Egli ha trovato la sua pace. Le sue ossa mortificate e disperse sono oggi raccolte e custodite con venerazione dalle sue creature nella terra della sua prima giovinezza.
Gli italiani d'oltre Oceano
La vedova Matteotti sale su di un'automobile chiusa che la riconduce rapidamente nella sua casa dove rimarrà qualche tempo per rinfrancarsi dalle atroci emozioni di questi mesi nell'isolamento e nel silenzio. La folla si accalca per ritornare ai suoi paesi, si scopre reverente passando davanti alla casa tutta chiusa del martire. Tutti hanno adesso che il loro deputato è partito per sempre, preclusa l'entrata in quella dimora ove ha preso stanza il dolore. Entrano soltanto fasci di dispacci giunti da ogni parte dell'Italia e dall'Estero ed anche dalle lontane Americhe e sono la voce di tutti gli italiani d'oltre mare, dei lavoratori sperduti per il mondo. Il loro ricordo e il loro omaggio hanno un significato straordinario: gli esuli della miseria e del lavoro salutano la salma del proscritto in Patria, morto per la libertà della sua nazione. Il cancello del cimitero, subito dopo i funerali, è stato chiuso ed ora è guardato da manipoli di carabinieri armati. Numerose persone giunte in ritardo vorrebbero entrare per portare nuovi fiori alla tomba, ma la rigorosa consegna è dai militi scrupolosamente osservata. Adesso si che non manca all'on. Matteotti la vigilanza! L'apparato poliziesco, il rigore della sorveglianza nella casa della morte inducono parecchi a qualche protesta, che non ha però seguito. Persino il cielo ha voluto esser clemente. Ieri tutta la plaga era fasciata di grigio, coperta di nuvoloni plumbei. Oggi c'è il sole. Abbandoniamo il cimitero in silenzio. Il meraviglioso spettacolo della terra che sorride, opulenta di frutti, ci stringe al cuore. Pensiamo che a pochi passi di distanza, fra quattro tavole di legno, composto alfine nella pace suprema, sta un cadavere straziato, contro cui nefandi uomini si accanirono invano in una rabbia feroce. Ci tornano alla monto le parole ultime del martire: "Voi ucciderete me, ma non l'idea". E il suo sogno di fraternità fra tutti i buoni è compiuto, per la libertà e la giustizia dei tempi a venire.
ERCOLE MOGGI.
www.archiviolastampa.it
La Stampa - Torino Venerdì 22 agosto 1924
La Stampa - Torino venerdì 22 agosto 1924

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