La visita a Vienna dal 9 al 12 marzo, organizzata dal Comitati Regionali Lombardi del PSI e della FGS e guidata da Pia Locatelli, presidente dell’Internazionale Socialista Donne, è stata l’occasione per constatare quale traccia profonda il Partito Socialdemocratico Austriaco (SPO: Sozialdemokratische Partei Osterreichs), costituito nel 1888, ha impresso nella storia e nell’urbanistica del paese, come dimostrano le realizzazioni di Das Rote Wien (La Vienna Rossa), l’amministrazione socialista che gestì ininterrottamente il Comune di Vienna dal 1918 al 1934, l’anno del colpo di stato da parte degli austro-fascisti di Dollfuss.
La situazione abitativa che i socialisti si trovarono di fronte, all’indomani della vittoria alla elezioni comunali del 1919, era disastrosa: gran parte della popolazione, afflitta dall’iper-inflazione post-bellica, viveva in condizioni malsane e di sovraffollamento. Il Comune varò un gigantesco piano di edilizia pubblica, a cui diedero il loro contributo molti architetti che erano stati allievi di Otto Wagner, il fondatore dello Jugendstil. La “Vienna Rossa” nasce, infatti, in un ambiente artistico e culturale eccezionale in cui operavano personalità come Gustav Klimt, Sigmund Freud, Gustav Mahler, Arthur Schnitzler. Il modello urbanistico scelto fu quello tradizionale dell’hof (= corte), trasformato però in complesso di servizi collettivi integrati: scuole, nidi d’infanzia, ambulatori medici, negozi, costruito non al di fuori ma all’interno della città ottocentesca. L’area occupata dalle costruzioni non oltrepassa mai il 50% della superficie dei lotti, lasciando quindi molto spazio a cortili e giardini. Sulla facciata di ogni hof campeggia la scritta rossa in tedesco “Costruito dal Comune di Vienna con i proventi della tassa sulle costruzioni negli anni...”. Le politiche abitative, infatti, furono finanziate dalla tassa sulle costruzioni, istituita dal Comune nel 1923, il cui gettito era interamente destinato all’edilizia pubblica.
Molti hof sono dedicati a personalità della democrazia e del socialismo non solo austriache, ma di tutto il mondo, i cui nomi risaltano sulle facciate degli edifici. Ci siamo commossi di fronte al “Matteotti-hof”, costruito nel 1927, che ricorda il nostro Giacomo Matteotti, e ci siamo raccolti in silenzio di fronte al bassorilievo in bronzo che lo raffigura. Abbiamo visitato il “Reumann-hof”, dedicato al primo burgermeister (=sindaco) socialista di Vienna, Jakob Reumann, che nel 1934 fu l’ultimo punto di resistenza dei socialdemocratici, e l’imponente “Karl Marx-hof”, l’edificio più lungo al mondo: la costruzione è ornata da quattro grandi statue, opera dello scultore Josef Riedl, che rappresentano la Libertà, l’Assistenza, l’Informazione e l’Educazione Fisica.
Tra il 1923 e il 1934 l’amministrazione socialista realizzò a Vienna circa 64.000 appartamenti che diedero finalmente un alloggio dignitoso al 10% degli abitanti della città.
“La Vienna Rossa” è un grandissimo esempio della funzione sociale dell’architettura, che stabilisce un perfetto rapporto tra il privato e lo spazio pubblico. Otto Bauer, leader della socialdemocrazia austriaca e teorico dell’austromarxismo, diceva che il concetto di “Vienna Rossa” fondeva “una sobria realpolitik con un entusiasmo rivoluzionario”.
Corrado Nicolino
Si riporta autorizzati l'articolo di Avanti! della domenica
La situazione abitativa che i socialisti si trovarono di fronte, all’indomani della vittoria alla elezioni comunali del 1919, era disastrosa: gran parte della popolazione, afflitta dall’iper-inflazione post-bellica, viveva in condizioni malsane e di sovraffollamento. Il Comune varò un gigantesco piano di edilizia pubblica, a cui diedero il loro contributo molti architetti che erano stati allievi di Otto Wagner, il fondatore dello Jugendstil. La “Vienna Rossa” nasce, infatti, in un ambiente artistico e culturale eccezionale in cui operavano personalità come Gustav Klimt, Sigmund Freud, Gustav Mahler, Arthur Schnitzler. Il modello urbanistico scelto fu quello tradizionale dell’hof (= corte), trasformato però in complesso di servizi collettivi integrati: scuole, nidi d’infanzia, ambulatori medici, negozi, costruito non al di fuori ma all’interno della città ottocentesca. L’area occupata dalle costruzioni non oltrepassa mai il 50% della superficie dei lotti, lasciando quindi molto spazio a cortili e giardini. Sulla facciata di ogni hof campeggia la scritta rossa in tedesco “Costruito dal Comune di Vienna con i proventi della tassa sulle costruzioni negli anni...”. Le politiche abitative, infatti, furono finanziate dalla tassa sulle costruzioni, istituita dal Comune nel 1923, il cui gettito era interamente destinato all’edilizia pubblica.
Molti hof sono dedicati a personalità della democrazia e del socialismo non solo austriache, ma di tutto il mondo, i cui nomi risaltano sulle facciate degli edifici. Ci siamo commossi di fronte al “Matteotti-hof”, costruito nel 1927, che ricorda il nostro Giacomo Matteotti, e ci siamo raccolti in silenzio di fronte al bassorilievo in bronzo che lo raffigura. Abbiamo visitato il “Reumann-hof”, dedicato al primo burgermeister (=sindaco) socialista di Vienna, Jakob Reumann, che nel 1934 fu l’ultimo punto di resistenza dei socialdemocratici, e l’imponente “Karl Marx-hof”, l’edificio più lungo al mondo: la costruzione è ornata da quattro grandi statue, opera dello scultore Josef Riedl, che rappresentano la Libertà, l’Assistenza, l’Informazione e l’Educazione Fisica.
Tra il 1923 e il 1934 l’amministrazione socialista realizzò a Vienna circa 64.000 appartamenti che diedero finalmente un alloggio dignitoso al 10% degli abitanti della città.
“La Vienna Rossa” è un grandissimo esempio della funzione sociale dell’architettura, che stabilisce un perfetto rapporto tra il privato e lo spazio pubblico. Otto Bauer, leader della socialdemocrazia austriaca e teorico dell’austromarxismo, diceva che il concetto di “Vienna Rossa” fondeva “una sobria realpolitik con un entusiasmo rivoluzionario”.
Corrado Nicolino
Si riporta autorizzati l'articolo di Avanti! della domenica
Matteottihof, case popolari a Vienna degli architetti Heinrich Schmid e Hermann Aichinger |
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