Nella casa paterna di Lina Merlin (in seguito assumerà la direzione di)
La Difesa delle Lavoratrici Giornale delle Donne Socialiste "Per augusta ad augusta" Milano, 1 settembre 1924 in seconda pagina
Entrammo. Gli occhi abbagliati dalla strada lunga e assolata si socchiudono un poco, come per accogliervi la penombra, appena rotta dalle fiamme giallastre dei ceri.
Ecco i fiori, che pare raccolgano nelle dischiuse corolle, la grande anima fremente della folla; ecco i serici nastri dove sono impressi dei nome che rivelano accolte di lavoratori, ritrovatisi, malgrado la raffica devastatrice, onde esprimere l'angoscia di tutti. Ecco la bara. Vogliamo quetare il tumulo che si solleva nello spirito. A che indagare nel mistero di quelle povere ossa, se la scienza ufficiale ha già stabilito che sono le sue e quindi non dobbiamo più turbare i forzati silenzi dell'Italia imperiale col nostro pianto: "Rendete il cadavere?".
Egli è là, anche non fosse, nello strazio di quelle membra che ben rappresentano il martirio dei mille e mille nostri fratelli assassinati.
Di là dalla tenda, s'ode, velata e tremula, una voce di donna.
- Tutti, voglio vedere quelli che vengono da mio figlio! -
La madre. Chi potrebbe ridire la commozione che vi fa tremare l'animo dinanzi a lei?
A lei così antica e così piccolina, ma pur tanto grande, tanto giovane, poiché accanto alla sua sublime figura vi sentite sorgere prepotente, una forza, come l'ardimento di una giovinezza nuova e più pura.
Chi non l'ha seguita questa madre, quando il bandito errabondo, s'avvicinava al Polesine ed ella accorreva a baciarlo e si prendeva la sua parte, non la minore, dei dileggi, degli insulti dei persecutori?
- Noi ricordiamo... - le disse qualcuno, evocando.
- Dopo! - ammonì ella con voce ferma e col dito levato, come ingigantita dal gesto che pareva un comando.
Parole pietose riversò il suo cuore alla madre di un fascista, accorsa ai suoi piedi, accolta tra le braccia.
- Dica a suo figlio che la madre di Giacomo Matteotti vuole che si redima! -
E ad uno, al segretario di una sezione socialista che si era inginocchiato e le aveva posato il capo nel grembo ella insegnò:
- Si levi, figliolo! tutti uguali siamo sotto questo cielo. C'è soltanto una cosa che può rendere inferiore un uomo ad un altro: l'ignoranza che genera la cattiveria. Andate, educate le genti, saranno uguali, saranno buone. -
Là acconto alla salma dell'eroe caduto, ella vegliava continuatrice del suo verbo, Era, lo sentimmo, l'antica sorgente che a Lui aveva donato la virtù.
Fiumane di popolo si riversavano nella casa, dalle automobili rombanti venute da lontano, dai veicoli più modesti. Erano uomini di partito, erano lavoratori venuti a piedi, inquadrati, silenziosi, recanti ghirlande ed enormi mazzi di fiori, e poi, nella cappella ardente, e dinanzi al dolore della madre, era un singhiozzo irrefrenabile. Ma nulla di lugubre in quel silenzio e in quel pianto.
Correva tra le mani che si intrecciavano al di sopra della bara, nei palpiti che si confondevano per quel morto, una promessa di resurrezione.
Nella santità del luogo, non pronunciato, saliva quel grido, che poco prima avevano levato, lungo la strada polesana, bocche di fanciulle, alla vista dei miei fiori purpurei: "Viva Matteotti!".
Lina Merlin
La Difesa delle Lavoratrici Giornale delle Donne Socialiste "Per augusta ad augusta" Milano, 1 settembre 1924 in seconda pagina
Entrammo. Gli occhi abbagliati dalla strada lunga e assolata si socchiudono un poco, come per accogliervi la penombra, appena rotta dalle fiamme giallastre dei ceri.
Ecco i fiori, che pare raccolgano nelle dischiuse corolle, la grande anima fremente della folla; ecco i serici nastri dove sono impressi dei nome che rivelano accolte di lavoratori, ritrovatisi, malgrado la raffica devastatrice, onde esprimere l'angoscia di tutti. Ecco la bara. Vogliamo quetare il tumulo che si solleva nello spirito. A che indagare nel mistero di quelle povere ossa, se la scienza ufficiale ha già stabilito che sono le sue e quindi non dobbiamo più turbare i forzati silenzi dell'Italia imperiale col nostro pianto: "Rendete il cadavere?".
Egli è là, anche non fosse, nello strazio di quelle membra che ben rappresentano il martirio dei mille e mille nostri fratelli assassinati.
Di là dalla tenda, s'ode, velata e tremula, una voce di donna.
- Tutti, voglio vedere quelli che vengono da mio figlio! -
La madre. Chi potrebbe ridire la commozione che vi fa tremare l'animo dinanzi a lei?
A lei così antica e così piccolina, ma pur tanto grande, tanto giovane, poiché accanto alla sua sublime figura vi sentite sorgere prepotente, una forza, come l'ardimento di una giovinezza nuova e più pura.
Chi non l'ha seguita questa madre, quando il bandito errabondo, s'avvicinava al Polesine ed ella accorreva a baciarlo e si prendeva la sua parte, non la minore, dei dileggi, degli insulti dei persecutori?
- Noi ricordiamo... - le disse qualcuno, evocando.
- Dopo! - ammonì ella con voce ferma e col dito levato, come ingigantita dal gesto che pareva un comando.
Parole pietose riversò il suo cuore alla madre di un fascista, accorsa ai suoi piedi, accolta tra le braccia.
- Dica a suo figlio che la madre di Giacomo Matteotti vuole che si redima! -
E ad uno, al segretario di una sezione socialista che si era inginocchiato e le aveva posato il capo nel grembo ella insegnò:
- Si levi, figliolo! tutti uguali siamo sotto questo cielo. C'è soltanto una cosa che può rendere inferiore un uomo ad un altro: l'ignoranza che genera la cattiveria. Andate, educate le genti, saranno uguali, saranno buone. -
Là acconto alla salma dell'eroe caduto, ella vegliava continuatrice del suo verbo, Era, lo sentimmo, l'antica sorgente che a Lui aveva donato la virtù.
Fiumane di popolo si riversavano nella casa, dalle automobili rombanti venute da lontano, dai veicoli più modesti. Erano uomini di partito, erano lavoratori venuti a piedi, inquadrati, silenziosi, recanti ghirlande ed enormi mazzi di fiori, e poi, nella cappella ardente, e dinanzi al dolore della madre, era un singhiozzo irrefrenabile. Ma nulla di lugubre in quel silenzio e in quel pianto.
Correva tra le mani che si intrecciavano al di sopra della bara, nei palpiti che si confondevano per quel morto, una promessa di resurrezione.
Nella santità del luogo, non pronunciato, saliva quel grido, che poco prima avevano levato, lungo la strada polesana, bocche di fanciulle, alla vista dei miei fiori purpurei: "Viva Matteotti!".
Lina Merlin
La Difesa delle Lavoratrici, Giornale delle Donne Socialiste |
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